Ripartire, ma da dove? - Anna Fasoli

Cala la fiducia generale delle imprese. Lo dice l’ISTAT, di nuovo, mentre rende noto l’indice Iesi (Istat economic sentiment indicator) di settembre, sottolineando quanto pesi sull’intero mercato la “claustrofobia del futuro”. L’impossibilità di vedere un limite alla crisi, che, così, si fa catastrofe. Il dato cade a pioggia su ogni altro settore, quello dei servizi, certamente, cui va ricondotto anche il nostro mestiere. Dove la situazione non parla una lingua diversa.
“Il settore si contrae” titola la copertina dell’ultimo numero del Giornale delle Assicurazioni, insistendo sull’esigenza di tagliare, riorganizzare, recuperare efficienza.
Eppure noi, queste cose, le sapevamo già e bene. Noi, questi dati, li abbiamo visti farsi concreti, voci quotidiane, sollevate dai clienti più forti (patrimonialmente) come da quelli più a rischio.
Noi, queste cose, le abbiamo portate all’interno dei direttivi di gruppi, sui tavoli direzionali, in lettere scritte in prima persona o a più mani. Perché le sentivamo scorrere attorno, persuasi che si potessero dire e risolvere, prima che diventassero eccessivamente ingombranti.
Eppure siamo arrivati, ad un autunno caldo, che sembra profetizzato con la stessa nota magica dei calendari Maia. Un autunno di “resa dei conti”, sferzato dai temi e dai problemi come fossero eventi imprevedibili, inarrestabili.
In questo strano, persino surreale scenario, a colpi di dati, statistiche, titoli cubitali, una domanda precisa mi si è iscritta davanti.
Qual è il limite? Il limite, eh già, proprio il limite. Con il limite, a dire il vero, noi assicuratori dovremmo avere grande esperienza. In fondo che cos’è, nel suo meccanismo originario l’attività assicurativa, se non un confronto e una misura continua, abile, geniale a volte, con il limite?
Limite umano, limite climatico, limite temporale. Cui corrispondono polizze vita, polizze danni, scadenze, termini.
La nostra bravura, la nostra competenza, si attesta esattamente in quella sorta di spartiacque invisibile tra la possibilità di un fatto, la probabilità che si realizzi e il suo palesarsi. Ecco, il nostro territorio, misurato con un calcolo quanto più possibile esatto, aiutati da schemi, tabelle, direttive, rendicontazioni, ma per cui, alla fine, rimaniamo giudici ultimi e liberi.
Consulenti del limite, oserei dire, obbligati e orientati a confrontarci con quest’ombra necessaria, professionalmente stimolati dalla consapevolezza che spetti a noi (e a noi soltanto) la parola definitiva sulla previsione di fronte al cliente.
Per questo siamo e dobbiamo essere preparati.
Per questo dobbiamo essere formati e informati. Costantemente. Con tutta la responsabilità di cui un simile compito ci carica.
Verso il cliente, verso la compagnia, ma anche verso la società in genere.
Se dimentichiamo questo passaggio imprescindibile del nostro mestiere, se scordiamo di essere strutturati in funzione di questo (senso del) limite, perdiamo lo scopo naturale del mestiere. Diveniamo teatranti, avidi, pirati d’assalto dell’alta finanza, o, specularmente, passacarte, codardi, mestieranti senza aspirazioni.
Forse il presente qualcosa ci dice, e ci dice che quel limite, anche tra gli assicuratori, per qualcuno s’è cancellato, o, peggio, se n’è preso gioco, lo ha dileggiato, sbeffeggiato, calpestato. Come se una simile mossa potesse restare senza conseguenze.

Associazione nel rischio comune e trasferimento del rischio individuale: i limiti che hanno fatto nascere il contratto assicurativo
 Torniamo un po’ indietro, alle radici, quando la nostra storia è cominciata. Non tanto nelle società primitive, dove il concetto di mutualità attraversa i gruppi-famiglia e le comunità legate da rapporti di natura solidale. Nemmeno allo stadio semplice di associazionismo, quando l’unione si fonda sulla condivisione del rischio comune, quindi si tratta di un’unione per sconfiggere insieme conseguenze e paure.
Noi arriviamo dopo, quando orizzonti e prospettive prendono respiro, lasciando comparire l’idea speculativa di trasferire il rischio. Nasce così il premio, a riconoscere il merito di chi si accolla un danno altrui, senza esserne il reale responsabile. E questo merito ha un prezzo, un costo.
Preciso matematico.
Si studiano sistemi per misurarlo il più esattamente possibile, fissando anche lo spazio di lucro sacrosanto che spetta a chi si lancia in quell’impresa (che vera e propria impresa è, a livello economico). Nel disegnare questo confine, cominciano ad iscriversi dei limiti. Limiti per l’assunzione del rischio, cui corrispondono limiti e variazioni nel costo.
Et voilà, presto fatto: il sistema si mette in moto. Grazie a quel limite, dunque, proprio strutturandosi su di esso come misura di riferimento, cresce e si sviluppa lo straordinario comparto dell’attività assicurativa, tra i più rilevanti nell’economia dei paesi avanzati. Una delle voci che, possiamo starne certi, se facciamo bene il nostro mestiere, è destinata a svolgere un ruolo in crescita. Perché, come ho detto, si muove tra due limiti umani di grande incidenza, la paura e il bisogno di garanzie, e vi innesta la capacità di previsione, quella specie di “corpo a corpo” con il rischio, per misurarlo, contenerlo. Comunque senza smettere di tentare, almeno un poco, di sconfiggerlo.

Il significato doppio del limite
C’è dunque un’anima complicata, connaturata al mestiere stesso che facciamo: sapere che il limite rappresenta la bussola su cui orientiamo scelte e valutazioni, ma al tempo stesso una sorta di spettro da superare, da guardare in faccia con la nostra capacità valutativa (fatta di immaginazione e razionalità, di visionarietà e grande esperienza professionale).
Questa, la base della nostra quotidianità agenziale: intervenire nel concreto, domando la grande, enorme sfida generale.
Sono due le dimensioni del limite: quella di confine cui riferirsi per valutare e misurare il nostro sforzo, quello di obiettivo un po’ da sorpassare, entrando nell’area del rischio accettabile, in quell’area di premio, di merito (anche economico).
Polimorfo, complicato, sfuggente, questo concetto lo è da sempre. Senza scomodare gli antichi filosofi greci, basti attestarsi sul mito irresistibile di Ulisse, la cui fama di scaltrezza si insinua sul terreno stesso della sua ansia di andare, per terra, per mare, comunque andare, oltre i limiti, quei limiti che sono miraggi, punti in bilico tra passato e futuro, barriere che proiettano verso l’oltre, verso una migliore capacità e conoscenza e che pure, se non ponderati a dovere, gettano nei gorghi del mare le navi.
Insomma oltre il limite c’è anche la creatività, l’innovazione, oltre il limite c’è il progresso, c’è lo sforzo a migliorare. C’è la scommessa più intensa di ogni altra, per il singolo, come per un gruppo, per una comunità (anche quella degli assicuratori).
Ma attenzione, è una questione di misura, di equilibrio, persino di equilibrismo. Perché esiste un punto, però, oltre il quale il limite si rompe, diventa negativo, la frontiera si sgretola, il sistema si avvita su di sé.
Quel limite, lo raccontano i dati, anche sulla fiducia, quel limite è stato a volte troppo forzato.

E adesso?
E adesso? Adesso possiamo solo tornare al senso buono del limite, e tornare al senso del limite significa riportare razionalità nel nostro universo. Significa rinnestare competenza. Capacità. È la sola strada, quella di un’etica del fare, dell’agire.
Formazione, innanzitutto. Che divenga in-formazione, anche, innestando forze di conoscenza dell’intero settore in cui operiamo. Aggiornamento, dunque, confronti, anche internazionali, convegni sulle novità di legge, non solo per farsi operatori d quanto deciso, ma anche propulsori del nuovo.
Abbiamo vissuto in un universo convinto di essere senza limite, mentre è stato il limite la nostra forza sin dalla nascita. Su quel limite abbiamo costruito la nostra competenza, la nostra utilità, anche sociale, economica. Su quel limite abbiamo ottenuto una credibilità e il rispetto sociale.
Ebbene, torniamoci.
Perché abbiamo un sacco di cose, importanti, da fare.
Ha scritto il filosofo francese Serge Latouche (quello della decrescita e della sostenibilità, per intenderci) nel suo ultimo saggio, appena pubblicato, con il titolo appunto Limite: “Siamo entrati nell’era dei limiti, non c’è nessun dubbio”.
Per noi si apre un grande spazio dunque


Anna Fasoli
Socio Uea

Questo sito utilizza esclusivamente cookie tecnici"Leggi l'informativa sui cookie ". Accetto