Ormai sono ovunque. Costeggiano i nostri gesti, li accompagnano e li sostengono. Sono divenute parte del nostro quotidiano più minuto.
Eccole, le polizze “silenziose”, e chiamo così tutti quei contratti assicurativi – perché contratti sono, e assicurativi anche, non c'è dubbio - che abbiamo preso l'abitudine di sottoscrivere quando compiamo un acquisto più importante, di un oggetto fragile, delicato, o invece di un evento posticipato nel tempo, così come della manutenzione futura di un bene o macchinario. In fondo, il pensiero sotterrano è sempre lo stesso: “non si sa mai”.
Furto, smarrimento o danneggiamento di occhiali; rottura dello schermo di uno smartphone o tablet; estensione di garanzia per un computer portatile, per l'assistenza di riparazione di una lavastoviglie; “pacchetti” per la manutenzione e i controlli delle automobile; garanzie nel caso di annullamento di un viaggio, di un biglietto aereo o ferroviario: scelte che compiamo meditate, certo, ma anche rapidamente, quando ci vengono proposte da un negoziante prima di consegnarci il foglio per il pagamento alla cassa, o da una casella che va cliccata su una pagina web quando acquistiamo la nostra ambita vacanza. E la reazione è abbastanza immediata, la risposta: sì, scelgo la sicurezza, oppure no, preferisco caricarmi del rischio. Ma con i tempi che corrono, determinati, nonostante la crisi, a non dismettere né sogni, né opportunità, né qualità, gli italiani rinunciano all'azzardo e stipulano polizze. Polizze minute, appunto quotidiane, polizze cui spesso non associamo, istintivamente, quella diffidenza e “smania” di controllo, che, invece, si scatenano quando a parlare di garanzie e premi è un assicuratore professionista.
Se la polizza esce dall'agenzia
Ed è qui il nocciolo della questione, il vero punto su cui riflettere.
Che cosa si attiva, a livello mentale, e di fiducia, nel cliente che procede all'acquisto online o in negozio di un oggetto rispetto alla tematica della protezione? Perché l'inclinazione a sottoscrivere una polizza che ho chiamato “silenziosa” è più amichevole e meno turbata che quando si parla di garanzie e tutele in agenzia? La concretezza, vorrei rispondere. Concretezza come legame immediato tra cosa e polizza. Concretezza che significa che nell'istante esatto in cui ricevo tra le mani il nuovo smartphone e penso che, se distratta, mi cadrà dalla borsa (perché tra le mani ho altri quindici sacchetti, lo zaino del bambino, la spesa e magari il guinzaglio del cane…), almeno non dovrò sentirmi in colpa, né angariata per il costo. L'assicurazione ne copre, secondo la formula sottoscritta, il 50 o il 70%. Non è tutto, vero, ma è già molto.
O ancora, quando mi attribuiscono quel centinaio di euro in più sul prezzo della vacanza “all inclusive” per tutta la famiglia prenotato per ferragosto, li verso senza sforzo, sapendo che, semmai uno di noi avrà le ferie cambiate per l'emergenza dell'ultimo momento, o l'appendicite del piccolino, almeno il denaro ci verrà restituito. Causa ed effetto, insomma. Una causa, che non si vorrebbe ma si sa che, con il periodo che è e i mille impegni, le fatiche che si devono orchestrare, potrebbe realizzarsi e determinare quell'effetto.
Allora se si garantisce al cliente di attenuarne l'effetto, il cliente sottoscrive. Di questo ha bisogno: sapere che se le cose accadono, non si trova catapultato nel vuoto senza rete o paracadute.
Una tendenza da “copiare”
“Invidio” questa utilità immediata che un commesso di negozio può mostrare al cliente. Facendolo, non ha nemmeno più bisogno di convincerlo. Se la polizza “silenziosa” ha un prezzo adeguato (e qui l'abilità sta tutta nella professionalità delle Compagnie), si vende da sé. Se, infatti, c'è immediatezza nel comprendere i vantaggi che arreca, nessuno si sottrae alla possibilità di circoscrivere il rischio.
In fondo questa tendenza ci ricorda uno dei ferri più importanti del nostro lavoro di assicuratori, ovvero la realtà. È sulla realtà dei fatti, certo, ma dei fatti possibili, che andiamo ad incidere.
“Apprendisti stregoni” di un'arte a volte ancora misconosciuta, gli assicuratori si trovano invero a dover intrecciare la veridicità e persino brutalità degli eventi concreti con la capacità di visionarietà, ovvero la previsione di ciò che potrebbe verificarsi. In questo continuo gioco delle parti che ci spinge ad essere con i piedi ben radicati al concreto, alla terra, ma la mente che sa librarsi verso voli pindarici dell'eventuale possibile i(ni)mmaginabile, perdiamo, talvolta, di vista uno dei cardini necessari, ovvero la capacità di linguaggio, di parlare al cliente in modo che capisca. E capisca non tanto in senso mentale, di quell'intelligere che certo è necessario nei rapporti professionali, quanto nella concretezza pragmatica del suo universo quotidiano.
Non solo: quando si sottoscrive una polizza per il vetro dello smartphone o l'annullamento della vacanza, ci si muove in uno spazio in qualche modo ludico, gratificante. Si parla, cioè, di acquisti che inducono piacere. Allora prevedere la possibilità di un danno e rimuoverne gli effetti diventa una strategia per far perseverare quella sensazione positiva e gratificante. Lo sanno bene i venditori che le propongono.
Sebbene sulla polizza che faranno firmare ci sia scritto: Infortunio, Rami danno e simili, quando ne parlano al cliente, non useranno mai simili termini. Stonerebbero, inserendo un elemento di paura e disagio quando, invece, il cliente si sta concedendo una gratificazione.
Il linguaggio, dunque, diventa strategico. Il linguaggio che irrompe, con i suoni adeguati, in quello stato d'animo della persona affatto diverso da quello che sperimenta d'abitudine all'idea di entrare in un'agenzia assicurativa e siglare un numero infinito di firme (le stesse che usa per la polizza “silenziosa” in realtà).
Ancora mancano i numeri
Ancora non ho reperito statistiche esaustive e numeri certi che attestino l'entità esatta del volume di questo fenomeno della polizza veicolata nell'atto di acquisto, e dunque tramite un commesso, venditore, o all'atto del finanziamento, dunque da un “assicuratore non abituale”. Ma il fenomeno, come tendenza di costume e società, marca una strada interessante, che mette a nudo la reale “fame” di sicurezza dei consumatori. E attesta, altresì, una mentalità molto più attuale ed evoluta nella percezione e concezione di ciò che è assicurazione. Perché non si chiede alla polizza appunto di cancellare il rischio – atteggiamento invece diffuso un tempo, soprattutto nei primi anni Novanta, quando, ricordo, iniziai e la richiesta sembrava davvero indirizzarsi a questo: “se pago per una polizza contro il furto, qualora avvenisse, la polizza deve far sì che per me sia come se il furto non fosse accaduto”, e lo stesso poteva dirsi per la grandine, nelle campagne, o un corto circuito, perdita d'acqua in azienda.
Oggi la mentalità sembra più matura, orientata come appare vero una sorta di virtuosa “collaborazione”, di ripartizione degli effetti tra chi l'ha subito e la compagnia che lo protegge. Ed è un aspetto d'impatto potenzialmente incredibile, che permetterà, a chi di assicurazione si occupa per mestiere, di diffondere ad un livello più ampio la copertura assicurativa. A patto però, di sapersi avvalere di un approccio che leghi, nell'immediatezza concreta, la tutela al vantaggio offerto.
Parlare chiaro e con un linguaggio meno esatto forse, ma più immediato, permetterà di evidenziare l'impatto pratico che ogni diversa garanzia saprà avere sulla vita quotidiana di ciascuno, colto in quel frangente, con quel bisogno specifico. Lui, e lui soltanto. Sì, sì, proprio di te, sto parlando di te.
Anna Fasoli
Consigliera Uea