L'auto che "guida da sé" e i dilemmi impossibili

È curioso come spetti spesso all'immaginazione futuribile il compito di farci riflettere sul presente delle nostre scelte, dei nostri ruoli e azioni, soprattutto quando affrontiamo temi assicurativi.
Lo spunto, questa volta, mi è stato suggerito dalla diatriba che vede fronteggiarsi i “grandi” degli imperi tecnologici e le “capitane” del mercato automobilistico.
La ragione del contendere? Le strade del futuro.
Secondo le stime dell'Agenzia Internazionale per l'Energia (IEA), infatti, nei prossimi decenni – una manciata, per la verità, visto che la data prevista è il 2050- l'attuale miliardo di auto in circolazione nel mondo dovrebbe raddoppiare.
Numeri che fanno rabbrividire se si considera che l'impatto di questa massa elefantiaca di veicoli sarà, oltre che energetico (e dunque di sostenibilità), soprattutto sulla sicurezza. Sappiamo, infatti, che la metà degli incidenti che avvengono ogni giorno sulle nostre strade sono imputabili ad errore umano. E con la popolazione mondiale che invecchia progressivamente, spostando la lancetta dell'età non solo pensionabile, ma anche dell'appendere le chiavi – dell'auto – al chiodo, il rischio è di imbattersi in un'equazione che minaccia di diventare esplosiva.

Benvenuta guida…senza guida?
Ed ecco allora che si apre la partita che vede fronteggiarsi tutti i grandi player, ma non solo quelli del settore.
Perché se è vero che le grandi case automobilistiche si sfidano da sempre a indovinare il futuro, proponendo modelli che sappiano, grazie alla tecnologia, solleticare il lato ludico, e quindi del “fanciullino” che c'è in ogni cliente, le capitane della nuova economia non restano a guardare.
Da Google a Apple la battaglia fa notizia a suon di “stupore”. Con una tendenza che si va affermando ormai senza alcun dubbio: quella dell'auto che guida da sé.
Insomma, ragionano nei quartier generali delle idee tecnologiche d'avanguardia, se gli incidenti li determinano soprattutto gli errori umani, la soluzione può essere quella di eliminare il fattore causa umano dalla strada.
I modelli presentati hanno forme giocose, apparenze un po' da cartoon Disney. Ma il tema che sollevano soprattutto, al di là di filosofie e interrogativi su una vita umana senza errore, è uno e uno soltanto: come insegnare ad un computer a reagire in caso di imprevisto?
Insomma, se sulla strada compare un ostacolo, un nubifragio improvviso che rende la strada sdrucciolevole, come fa il computer a scegliere?
Perché, se l'uomo ha, dalla sua, l'istinto, ovvero quella qualità che lo fa decidere nell'emergenza (non sempre positivamente, è vero, ma comunque è una dotazione da cui siamo caratterizzati), il computer saprà reagire se e solo se sarà stato programmato per quello.
Né si tratta di dilemmi da poco.
Supponete di trovarvi a programmare uno di questi “piloti autonomi”. Tra le varie funzioni che spettano ai tecnici impiegati c'è quella di impostare la macchina a tavolino con soluzioni cruciali. Per capirci: di fronte all'opzione tra centrare un Tir in contromano o buttarsi nella scarpa, cosa scegliere? Meglio investire una mamma con passeggino sulle strisce pedonali o travolgere un gruppo di ciclisti?
Lo so, strappa un sorriso una simile questione se la si valuta dentro una simulazione di gioco per Xbox o Playstation. Ma qui siamo su strada, una strada che, ora virtuale, potrebbe però diventare il mestiere quotidiano di un'auto così concepita. Ed è chiaro che, se i pensieri che le vengono “messi in testa” (o in plancia…) sono tali, si può rischiare di far invadere le strade da potenziali distruttori.

Chi risponde dei danni?
I problemi non finiscono certo qui.
Si sa che il nostro sistema giuridico, e anche quello morale, di buon senso, di buon vicinato, si fondano sul principio della responsabilità, che, tradotto in sintesi, addossa le conseguenze di un determinato fatto a chi quel fatto lo ha scelto, o lo ha compiuto per errore, disattenzione, imperizia. Insomma, se puoi scegliere, e sbagli, beh, i danni sono tuoi.
Su questa logica sono stati concepiti anche gli strumenti assicurativi, ovvero con l'obiettivo non di sollevare il responsabile dalle conseguenze totali del suo gesto – il che lo renderebbe, appunto, irresponsabile – ma di cautelarlo sotto l'aspetto patrimoniale, in qualche modo circoscrivendo gli effetti negativi di quelle conseguenze.
Già, ma se è un computer a decidere, chi risponde in caso di danno? In altre parole, se un'auto che si guida da sé non rispetta uno stop, o tampona un autobus, come le distribuiamo le responsabilità?
Spettano al costruttore dell'auto? A chi ha fornito il software? Al programmatore? A chi ha comprato quel dato modello?
Non si tratta di un gioco mentale, di un rompicapo. Da queste domande ne va del futuro concreto delle auto che si guidano da sé.
Solo determinando e risolvendo questi interrogativi, le case automobilistiche così come quelle fornitrici di tecnologia saranno incentivate a investire nel settore, e lo stesso vale per i consumatori, che si rivolgeranno a simili veicoli solo se sapranno di poter stare tranquilli.
È questa la ragione che ha spinto di recente anche il gruppo olandese Shell, (che fornirà tutto il proprio know how nell'ambito dei carburanti e dei lubrificanti) a collaborare per la creazione di una city car a guida autonoma, il Project M, la cui caratteristica è di venire 'condiviso' con gli utenti già nella fase di ideazione e sviluppo.
Come a dire: se li conquisto subito, li conquisto per sempre.

Se l'assicurazione diventa (una volta ancora) l'ago della bilancia della realtà
Fiducia, dunque.
Di questo hanno bisogno i marchi per spostare verso di sé l'attenzione del consumatore. Lo sanno bene Apple e Google, che, nei progetti di auto autonome, ci hanno messo logo e faccia.
Fiducia che significa anche sicurezza. Una sicurezza che è il tema cardine della nostra professione.
Credo che anche gli assicuratori siano dunque chiamati in causa in questo grande tema. In altre parole sarà solo chiarendo, distribuendo e assumendo responsabilità esplicite che questo mercato potrà decollare.
Nessuno sarà disposto, altrimenti, ad entrare in questa sorta di paradosso che è acquistare un'auto che si guida da sé per eliminare l'incertezza su strada e piombare, invece, d'un tratto nel caos più assoluto qualora un sinistro si verifichi.
Se non si delineano criteri chiari e condivisi su questo, si rischia di fare un balzo indietro nel tempo, un ritorno al passato, dunque, a prima delle constatazioni amichevoli, delle procedure semplificate, delle giurisprudenze consolidate.
Ciò che sottolineo, dunque, è come, una volta ancora, la logica assicurativa, nella sua vocazione di concretezza e fattività, divenga l'ago della bilancia sulla efficacia e percorribilità reale di questa strada di un'auto che si guidi da sé.
Inutile dire che la sfida è interessantissima, e non solo per quello che progetta del futuro.
La sfida sulla risoluzione delle questioni poste dal computer macchina in caso di situazione improvvisa, di rischio imprevisto, invero, porta un'attenzione immediata e affascinante sulle dinamiche che si scatenano, oggi, nel presente, in simili circostanze.
L'uomo e il comportamento, dunque. Le azioni, le paure, le reazioni, l'istinto. Tra biologia e psicologia, forse. Certamente di tutto questo troviamo grandi tracce nei nostri fascicoli. E magari questi fascicoli potrebbero costituire un buon punto di analisi anche per i tecnici che si chiedono: Tir contromano o scarpata? Strisce pedonali o gruppo di ciclisti?

Anna Fasoli
Consigliera Uea

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