Intervento di Anna Fasoli al Convegno “Aziende: dai rischi alla sicurezza delle polizze”, organizzato da Insurance Trade a Palazzo delle Stelline di Milano, lo scorso 10 giugno
Bella, molto bella, questa sfida con cui ci confrontiamo qui.
Perché arriva al cuore di uno dei motori pulsanti dell'economia, certo, ma anche dell'identità italiana.
Da sempre l'Italia ha un'anima di Pmi, per vocazione, per scelta, per quell'intraprendenza che consente e anche per coraggio.
Certo, c'è un grande lavoro da fare, un grande lavoro anche per noi assicuratori, un lavoro che non può che essere inteso come una straordinaria opportunità.
Chi sono le Pmi italiane?
Ma chi sono oggi le Pmi italiane?
Una recente indagine compiuta dall'OIS, l'organismo di contabilità italiano, ha scattato una fotografia del nostro tessuto aziendale, comparandolo con quello europeo.
Secondo la tradizionale distinzione per estensione (numero di dipendenti e fatturato), la percentuale riportata dall'OIS conferma che l'Italia è in linea con l'Europa. Anzi talvolta migliore.
Dai noi sono, infatti, lo 0,6% le imprese che si qualificano come grandi (più di 250 dipendenti e un fatturato superiore ai 50 milioni di euro l'anno).
La presenza di micro-imprese (fatturato entro un milione di euro e fino a 10 dipendenti) è inferiore alla media europea: 71% in Italia, quando la media europea è di dieci punti in più, con casi che raggiungono persino il 90% (in Francia e Gran Bretagna).
È chiaro insomma che l'Italia non soffre di nanismo imprenditoriale. Se un'anomalia, o comunque una caratteristica particolare, c'è, è quella che riguarda la “fascia di mezzo”, cui appartengono due categorie: le imprese che hanno tra i 10 e i 50 addetti, cd. piccole, e quelle che ne hanno tra i 50 e i 250, ovvero le medie.
Secondo le stime, l'Italia ha molte più aziende piccole che medie, in questo allontanandosi dai trend stimati come comuni in Europa.
25% di aziende piccole lungo lo Stivale contro un 15% europeo.
2,5% di aziende medie contro il 3,3% europeo.
Comprendere per consigliare
Dunque è da qui che dobbiamo partire: da questa fascia, che non “spicca il volo”. E non certo per incapacità, pigrizia, o inadeguatezza.
La ragione è indubbiamente complessa. Una ragione legata sicuramente alla pressione fiscale, all'eccessivo costo del denaro, se si accede a crediti per investimenti. Una ragione che si lega alla lentezza nelle politiche di sviluppo.
L'Italia è un paese dove le imprese si sentono molto lasciate a sé stesse.
Tutto questo è vero, sta sotto gli occhi di tutti ogni giorno.
Eppure, se si guarda con più attenzione, con una lente forse più “intima”, in filigrana si apprendono anche molte altre cose. Sono infatti persuasa che la potenzialità di crescita di una Pmi in Italia si leghi anche ad un altro fattore, individuale, privato.
Mi riferisco ad un costo spesso non visto, non riconosciuto. Un costo che vorrei chiamare “della paura”. Il costo legato all'insicurezza.
Riflettiamo su questo: in un'azienda ogni uomo, ogni lavoratore è una risorsa. Ma ogni uomo, ogni lavoratore è anche una fonte di rischio di errore.
Un errore, quando le catene produttive si sono evolute e complicate come accade nell'universo dell'economia globalizzata, può scatenare conseguenze gravi, gravissime. Ed è un pensiero con cui ciascun imprenditore si confronta, costantemente, in silenzio, o esplicitandolo, ma senza trovare una risposta.
Ed è un pensiero che funziona inevitabilmente da freno.
Il “costo” della paura
Ebbene, di questo “costo”, il costo della paura, spetta all'universo assicurativo farsi carico. Professionalmente.
È proprio qui che voglio richiamare l'attenzione di tutti quelli che svolgono il mio lavoro.
Perché qui si apre davvero il nostro spazio di intervento concreto, positivo, rispetto alle Pmi.
Questo diventa il nostro terreno specifico.
Comprendere il funzionamento di una Pmi e consigliare quali tutele attivare diventa la priorità e il lavoro studiato caso per caso, cliente per cliente. Senza formulari o moduli prestampati.
Un lavoro mirato: di ascolto, osservazione, condivisione, e quindi personalizzazione.
Se è vero che spetta a noi illustrare le polizze che tutelano rispetto alla Responsabilità Civile imposta dalla legge; se è vero che abbiamo un compito informativo per tutto ciò che attiene all'ambito del D.Lgs. 231/2001 sulla responsabilità degli amministratori, ebbene, il nostro ruolo non può, non deve fermarsi qui. Deve invece spingersi oltre.
Osservando le specificità del cliente, l'attività assicurativa assumerà il suo profilo più consulenziale, quello che poi le si attaglia davvero.
In concreto, spetterà all'assicuratore suggerire garanzie accessorie – penso alla tutela legale, alle formule multirischio, come alle polizze prodotto che tutelino anche all'estero, per export verso paesi non UE dove piccoli cambiamenti di regolamenti interni rischiano di far arrestare i prodotti alle frontiere, con gravi costi. Ancora, penso alle formule di tutela rispetto ad azioni di responsabilità civile dei dipendenti, come a particolari garanzie da attivare a difesa del patrimonio, certo, ma anche della reputazione, oggi un bene di estrema importanza per un'azienda.
Insomma spetta a noi far comprendere alle Pmi che possono investire in sicurezza, in tranquillità. E che questo funzionerà da volano per concentrarsi sul fare impresa, sul fare imprese, che è il cuore vero di un'azienda.
Il nostro intervento sarà a latere, ma propulsivo per il business. E sarà un lavoro che muove dal concreto quotidiano dell'azienda, non c'è dubbio, ma che si concentra anche su quel costo silente, solo in apparenza invisibile, che è il costo della paura.
Un freno che possiamo e dobbiamo rimuovere.
Grazie.